Azioni a tutela della proprietà. Distinzione tra azione reale di revindica ed azione personale di restituzione. Cass. Civ. sez. II - sent. 13605 del 12/10/2000

Distinzione tra azione reale di revindica ed azione personale di restituzione. Prove necessarie per le duedistinte azioni. Differnenti presupposti.

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vittorio              VOLPE               – Presidente –
Dott. Giovanni              SETTIMJ             – Rel. Consigliere –
Dott. Umberto               GOLDONI             – Consigliere –
Dott. Ettore                BUCCIANTE           – Consigliere –
Dott. Sergio                DEL CORE            – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FEDERICI COSTANTINO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ORTI DELLA
FARNESINA 126, presso lo studio dell’avvocato STELLA RICHTER GIORGIO,
che lo difende, giusta delega in atti;
                                                       – ricorrente –
                                contro
STAFFIERI ARGIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G.  ZANARDELLI
23, presso  lo  studio  dell’avvocato  FILIPPUCCI  FABRIZIO,  che  la
difende, giusta delega in atti;
                                                 – controricorrente –
avverso la sentenza n. 15982-97 del Tribunale di ROMA, depositata  il
10-09-97;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
24-01-00 dal Consigliere Dott. Giovanni SETTIMJ;
udito l’Avvocato STELLA RICHTER Giorgio, difensore del ricorrente che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato VALENZA Dino per delega dell’Avv.  FILIPPUCCI,  dep.
in ud., difensore del  resistente  che  ha  chiesto  il  rigetto  del
ricorso;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Rosario RUSSO che ha concluso  per  il  rigetto  del  ricorso  previa
correzione della motivazione ex art. 384, 1  co..
FATTO
Svolgimento del processo
Con sentenza 9-15.1.1992, il pretore di Roma, in accoglimento della domanda proposta da Costantino Federici nei confronti d’Argia Staffieri, condannava quest’ultima a rilasciare immediatamente nella disponibilità dell’attore la stalla oggetto di causa.
Avverso tale decisione proponeva appello la Staffieri deducendo la nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio del contraddittorio; l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, nonché l’erronea valutazione degli atti di causa; ancora, l’erronea configurazione dell’esistenza d’un comodato in assenza degli elementi costitutivi dello stesso; l’accoglimento, in fine, della domanda attrice in assenza dei necessari presupposti.
Si costituiva il Federici resistendo al gravame e chiedendone la reiezione.
Con sentenza 10-9-1997, il tribunale di Roma – ritenuto erroneo il convincimento del primo giudice che potesse prescindersi, ai fini della decisione, dalla mancanza di prova in ordine alla titolarità, in capo al Federici, del diritto di proprietà; che l’attore avesse inteso proporre azione di rilascio d’immobile per occupazione senza titolo, e non anche quella di restituzione personale ex art. 1809 c.c.; che il Federici non avesse fornito alcuna prova del suo diritto di proprietà, peraltro contestato dalla Staffieri – in accoglimento dell’appello, rigettava l’originaria domanda del Federici per carenza di prova in ordine alla legittimazione attiva.
Avverso tale decisione il Federici proponeva ricorso per cassazione con un unico articolato motivo.
Resisteva la Staffieri con controricorso.
DIRITTO
Motivi della decisione
Il ricorrente – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 1809 c.c., 99, 100, 183, 184, 292, 353 c.p.c. nonché difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. – si duole che il tribunale di Roma abbia respinto la proposta domanda ritenendo ch’egli non avesse fornito la prova della titolarità del diritto di proprietà e che detta prova fosse necessaria, traendo elementi di giudizio, per la qualificazione dell’azione come revindica, esclusivamente da una formale lettura dell’atto di citazione senza considerare il contenuto sostanziale della pretesa avanzata, desumibile sia dalla situazione dedotta in causa, sia dalle precisazioni formulate nel corso dell’istruttoria, dalle quali era emersa l’esistenza, tra le parti, d’un rapporto di comodato, cessato il quale il comodatario avrebbe dovuto riconsegnare il bene, giusta quanto chiesto con la proposta azione personale di restituzione, che non esige la prova della proprietà della cosa, necessaria, invece, per l’azione di revindica; non abbia, inoltre, desunto detta prova, come pure possibile, dalle risultanze dell’istruttoria.
Il motivo merita accoglimento.
Nell’esercizio del potere d’interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito, che non è in ciò condizionato dalla formula adottata dalla parte, ha il potere, ma anche il dovere, d’accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale risulta desumibile non solo dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché di tener conto del provvedimento richiesto in concreto, con il solo limite, peraltro, di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta.
Ove tali principi siano violati – e, quindi, venga denunziato un error in procedendo, quale la pronunzia su di una domanda che si afferma diversa da quella effettivamente proposta – la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali ed, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti.
Nel caso di specie, già alla lettura dell’atto di citazione introduttivo del giudizio era evidente che il Federici avesse inteso esperire non un’azione reale di rivendicazione bensì un’azione personale di rilascio per detenzione sine titulo, azione ancor meglio chiaritasi nel corso dell’istruttoria con la precisazione che il difetto del titolo della detenzione trovava ragione nel recesso – consentitogli ad nutum dall’art. 1810 CC e comunque, se vuolsi considerare il termine connesso con la specifica esigenza della controparte per la quale l’uso del bene era stato concesso, dal venir meno dell’esigenza stessa, come adeguatamente comprovato in istruttoria – operato dall’attore dal rapporto di comodato gratuito in base al quale alla Staffieri era stata consentita l’utilizzazione della stalla per la quale è controversia.
Il tribunale ha, dunque, non solo omesso di valutare tutti gli elementi necessari alla qualificazione dell’azione, ma anche arbitrariamente sostituito all’azione personale promossa un’azione reale che l’attore non aveva inteso promuovere ed in vista della quale non aveva, ovviamente, neppure approntato adeguate difese rimanendo, in tal guisa, anche leso nel relativo diritto.
Nè giova assumere che la contestazione da parte del convenuto del diritto di proprietà dell’attore possa giustificare la trasformazione d’un’azione ab origine formalmente e sostanzialmente proposta come personale in azione reale, con il consequenziale mutamento dell’oggetto della prova dall’isussistenza(*) o venir meno del titolo di detenzione del primo alla sussistenza del diritto di proprietà del secondo, non solo in quanto, nella specie, la Staffieri non ha contrapposto al diritto di proprietà del Federici un proprio autonomo e distinto titolo di proprietà sul bene controverso ma si è limitata ad eccepire che il Federici non aveva provato il suo diritto di proprietà, ciò che già basterebbe a far escludere la possibilità d’immutazione dell’azione personale in azione reale anche per quella parte della giurisprudenza che tale possibilità riconosce ma solo ove il convenuto abbia resistito all’azione di rilascio contrapponendo un proprio autonomo titolo di proprietà sul bene (Cass. 20.3.99 n. 2603, 2.6.98 n. 5397), ma anche in quanto la stessa tesi da ultimo richiamata non è, di per sè, condivisibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in vero, azione di revindica ed azione di restituzione, pur tendendo entrambe al medesimo risultato pratico di far recuperare la materiale disponibilità d’un determinato bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume d’esser proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà, riconseguirne il possesso; con la seconda, di natura personale e che ha il suo fondamento nell’originaria insussistenza ovvero nel sopravvenuto venir meno d’un titolo alla detenzione del bene da parte di chi attualmente ne disponga, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà, del quale non deve fornire la prova, ma tende solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, onde si può limitare alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa o ad allegare l’insussistenza ab origine di qualsiasi titolo (Cass. 26.6.91 n. 7162, 30.11.87 n. 8895, 28.1.85 n. 439).
È ben vero che questa stessa Corte ha, talvolta, affermato che, nell’ipotesi d’azione personale intesa ad ottenere il rilascio d’un immobile occupato senza titolo od a titolo precario, la contestazione del diritto di proprietà dell’attore da parte del convenuto con la deduzione d’un suo contrapposto diritto dominicale, se pure al solo fine d’ottenere la reiezione dell’avversa domanda e non anche l’accertamento dell’allegato titolo di proprietà, trasforma l’azione personale in azione reale, dal momento che il giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà vantato da una parte e negato dall’altra (Cass. 2.6.98 n. 5397, 26.9.91 n. 10073); a tale orientamento, tuttavia, altri se ne contrappongono per i quali o la domanda diretta ad ottenere la rimozione d’una situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompaganata(*) dalla contestuale richiesta d’accertamento e declaratoria del diritto reale, esula dall’ambito delle azioni reali ed assume il connotato dell’azione personale di reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 CC (Cass. 18.7.91 n. 7984), ovvero la difesa del convenuto, che pretenda d’essere proprietario della cosa in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti (Cass. 9.9.98 n. 8930, 16.8.90 n. 8326, 5.10.78 n. 4454, 4.10.71 n. 2713, 2.8.68 n. 2770, 3.2.68 n. 357), ed orientamenti siffatti, quanto meno il secondo che s’intende seguire, appaiono meritevoli di maggior consenso che non il precedente.
Devesi, infatti, anzi tutto richiamare quanto sopra già evidenziato in ordine al divieto per il giudice d’immutare ex officio il titolo della pretesa, onde la controversia non può che essere decisa con esclusivo riferimento al titolo dedotto dall’interessato ed alla disciplina giuridica ad esso inerente; in secondo luogo, considerare che, accedendo alla contraria opinione, si giungerebbe all’inammissibile conseguenza di ritenere la semplice contestazione del convenuto strumento processuale idoneo a determinare l’immutazione della natura, oltre che dell’azione, anche dell’onere della prova incombente sull’attore, a questi imponendo, con stravolgimento della difesa predisposta in relazione alla diversa azione proposta, una prova ben più onerosa, la probatio diabolica della revindica, di quella cui sarebbe stato tenuto alla stregua dell’azione personale inizialmente introdotta.
Con l’impugnata sentenza il tribunale di Roma, non attenendosi agli esposti principi e, tra l’altro, assumendo dovuta dal Federici la prova del diritto di proprietà sul bene chiesto in restituzione in base alla semplice eccezione della Staffieri in ordine alla mancanza di tale prova, è incorso nelle violazioni di legge contestagli con il ricorso in esame che va, pertanto, accolto.
La causa va, pertanto, rinviata per nuova valutazione ad altro giudice del merito di secondo grado che, stante la nuova disciplina processuale introdotta dal D. Lgs. 19.2.98 n. 51, va identificato nella corte d’appello (Cass. SS. UU. 19.5.2000 su ric. 2515-98 ma già 19.11.99 n. 12838) cui ex art. 385 CPC è rimesso di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
p.q.m.
LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Roma.
Così deciso in Camera di Consiglio 24.1.2000.

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